In che modo l’interazione tra scarsa igiene e uso di antibiotici contribuisce alla colonizzazione dei batteri resistenti agli antimicrobici (Amr) negli esseri umani? A questa domanda hanno provato a rispondere i ricercatori della Paul G. Allen School for Global Animal Health (Allen School) e dell’Universidad del Vale de Guatemala (UVG) della Washington State University, i quali hanno portato a termine uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Come è noto, infatti, la resistenza agli antibiotici è un grave fenomeno che contribuisce a centinaia di migliaia di morti ogni anno. Si tratta di un problema che vede l’incapacità degli antibiotici di funzionare correttamente a causa delle resistenze appunto generate da specifici batteri che, per essere debellati, richiedono dunque antibiotici sempre più potenti.
Osservando le famiglie nelle comunità guatemalteche rurali e urbane i ricercatori hanno esaminato come la distribuzione di Escherichia coli resistente agli antimicrobici fosse correlata alla densità della popolazione, all’accesso alle terapie antibiotiche, ai servizi igienico-sanitari e agli indicatori di igiene come l’accesso all’acqua pulita e la prevalenza della defecazione aperta e la preparazione del cibo e pratiche di consumo di latte. I risultati dello studio hanno confermato che la resistenza antimicrobica era associata a una crescente frequenza di uso di antibiotici, scarsa igiene domestica, consumo di latte ed episodi di diarrea.
«Una migliore gestione degli antibiotici, compreso il controllo dell’accesso non regolamentato agli antibiotici è fondamentale per ridurre la prevalenza di batteri resistenti agli antimicrobici, ma la sola amministrazione non avrà un impatto con successo sulla prevalenza della resistenza quando l’igiene è compromessa», sostengono gli autori dello studio.