Esistono quattro tipologie principali di diabete, che in Italia rientra tra le patologie più diffuse: di tipo 1 o insulino-dipendente, di tipo 2 o non insulino-dipendente, diabete mellito gestazionale e diabete mellito secondario. Il primo è caratterizzato da un processo autoimmunitario che porta alla distruzione delle cellule del pancreas deputate alla secrezione di insulina, ormone dall’effetto ipoglicemizzante. I pazienti devono introdurre ogni giorno insulina, mentre nel diabete di tipo 2 la terapia prevede l’assunzione di ipoglicemizzanti orali. Nel diabete non insulino-dipendente le cellule pancreatiche continuano a produrre insulina, ma sono meno sensibili all’ipoglicemia e i tessuti che normalmente rispondono all’insulina diventano meno sensibili a questo ormone, con conseguente iperglicemia. Il diabete gestazionale insorge in genere nel secondo trimestre della gravidanza, normalmente scompare dopo il parto, ma predispone le donne che ne hanno sofferto allo sviluppo del diabete di tipo 2. Il diabete mellito secondario è invece la conseguenza di altre patologie, tra cui pancreatiti, obesità, disordini endocrini, o dell’impiego prolungato di alcuni farmaci.
L’approccio al diabete si basa, oltre che sul trattamento farmacologico, sull’esercizio fisico e sull’alimentazione. Per quanto riguarda le proteine, un apporto eccessivo è collegato al rischio di andare incontro a una riduzione della funzionalità renale. È bene introdurre proteine sia di origine animale, preferendo le carni bianche e il pesce a carni rosse, insaccati e formaggi, che vegetali, contenute in legumi, cereali, frutta a guscio, semi oleaginosi. Occorre limitare l’introduzione dei lipidi privilegiando gli alimenti naturalmente ricchi di acidi grassi ω-3, di cui la miglior fonte è l’olio di fegato di pesce. Questi grassi proteggono dalle patologie cardiovascolari e contribuiscono a ridurre i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi, spesso elevati nei diabetici. Venendo ai carboidrati, quelli complessi devono costituire almeno l’80% del totale introdotto. Gli zuccheri semplici infatti determinano un rapido incremento dei livelli plasmatici di glucosio. Fondamentale è il consumo di fibre, dal momento che aiutano a ridurre i valori della glicemia postprandiale. Hanno inoltre il vantaggio di aumentare la sensibilità dei tessuti all’insulina, diminuire le oscillazioni nella concentrazione di glucosio nel sangue, contribuire a tenere il peso sotto controllo. Poiché l’alcol può causare ipoglicemia, è sconsigliato in chi è affetto da diabete.
Un discorso a parte meritano gli edulcoranti. I polioli comprendono il sorbitolo, ampiamente utilizzato in alimenti e bevande dietetiche; il mannitolo, che ha un effetto rinfrescante e per questo trova impiego nella produzione di caramelle balsamiche; lo xilitolo, estratto in prevalenza dalla corteccia della betulla; il lattitolo e il maltitolo, usati dall’industria dolciaria. Vi sono poi proteine dall’effetto dolcificante, come monacolina, monellina e taumatina, che però possono conferire un sapore non sempre gradevole agli alimenti a cui sono addizionati. Tra i dolcificanti sintetici, si ricordano aspartame, non adatto per i prodotti da forno perché instabile alle alte temperature e controindicato per le persone affette da fenilchetonuria, una malattia metabolica di origine genetica; acesulfame K, aggiunto a bevande analcoliche e gomme da masticare e utilizzabile anche come dolcificante da tavola; saccarina, che presenta lo svantaggio di un retrogusto metallico e amaro; ciclammato, stabile sia ad alte che a basse temperature.