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Epatite B: sviluppare una cura richiede nuovi approcci scientifici

L’immunologo Matteo Iannacone e il virologo-patologo Luca G. Guidotti, hanno recentemente ragionato sulle terapie adottate per la cura dell’epatite B.

L’immunologo Matteo Iannacone e il virologo-patologo Luca G. Guidotti, hanno recentemente ragionato sulle terapie adottate per la cura dell’epatite B. In sintesi, ritengono fondamentale guardare alla cura di questa patologia da altri punti di vista, in particolare sul rapporto tra virus e sistema immunitario. L’epatite B è un’infiammazione del fegato di origine virale, tale da alterarne le funzionalità. Questa malattia può manifestarsi in forma acuta oppure cronica: nel primo caso solitamente si risolve da sé; nel secondo, invece, richiede l’assunzione di farmaci. A oggi due sono le terapie approvate per il trattamento dell’epatite B: iniezioni di interferoni, proteine normalmente prodotte dal sistema immunitario per neutralizzare le infezioni; e i cosiddetti NUC (nucleosidici o nucleotidici), potenti inibitori del virus dell’epatite B, assumibili anche combinati fra loro.

Gli antivirali sono il farmaco più usato per la cura dell’epatite B cronica a livello internazionale. Tuttavia, analogamente a quanto accade per il trattamento del virus dell’HIV, gli antivirali raramente debellano la patologia dall’organismo. Il paziente è perciò costretto a curarsi anche tutta la vita, onde evitare pericolose recidive della malattia. Secondo Iannacone e Guidotti, la riduzione degli antigeni virali nel sangue (le molecole riconosciute come estranee e potenzialmente pericolose dal sistema immunitario) è insufficiente a contenere gli effetti di un’epatite B cronica.

Bisogna invece sviluppare approcci immunostimolanti che prendano in considerazione le condizioni in cui il virus si insedia e si sviluppa. Come l’afflusso di sangue nel fegato, dove circa 1/3 delle cellule sanguigne si muove ogni minuto; o ancora, l’incapacità del sistema immunitario di riconoscere subito queste particolari cellule virali. Da qui, una conseguente mancanza di “reazione” difensiva dell’organismo potrebbe spiegare almeno in parte la cronicizzazione della malattia. Senza contare che un’infezione di lunga durata depotenzia le facoltà antivirali delle cellule immunitarie, favorendo il perdurare dell’infezione.

Secondo i due studiosi italiani, tali condizioni suggeriscono di approcciare l’epatite B da altre angolazioni. Ad esempio, l’uso di vaccini terapeutici potrebbe sollecitare determinate cellule del sistema immunitario ad allertare l’organismo, stimolandone una reazione difensiva. Oppure, l’utilizzo di vaccini terapeutici insieme a immunostimolanti potrebbe anticipare/accelerare la risposta difensiva dell’organismo. L’integrazione di interventi terapeutici diversi faciliterebbe il controllo immunitario dell’infezione nonché il suo sradicamento a lungo termine.

Modelli preclinici dedicati stanno già offrendo risultati incoraggianti in questa direzione. È vero, altresì, quanto l’associazione di terapie complesse sia difficile da sviluppare, per ragioni di sicurezza, legislative e per i costi da sostenere. I due ricercatori del San Raffaele auspicano che gli studi scientifici su farmaci anti-epatite B dovranno ottimizzare e valutare al meglio i propri risultati, allo scopo di trovare nuove e più efficaci associazioni tra differenti metodologie terapeutiche.

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Di Farmacia Ventricelli Dr.ssa Teresa

Il servizio informativo per i pazienti della Farmacia Ventricelli della Dr.ssa Teresa Ventricelli a Laviano (Sa).