Un gruppo di scienziati di Farmacologia Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Cefalee dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi ha scoperto che il mal di testa ha sede nel sistema nervoso periferico. Tuttavia i risultati di questa ricerca, pubblicati su Nature Communications, evidenziano come i meccanismi all’origine del dolore periferico siano ancora poco chiari.
I numeri dell’emicrania.
Un miliardo e duecento milioni di persone nel mondo soffrono di emicrania, in particolare le donne dai 15 ai 50 anni. Il mal di testa frequente o cronico condiziona pesantemente la qualità della vita, sia a livello lavorativo che famigliare ed affettivo, al punto che per l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità è uno dei disturbi più disabilitanti in quella fascia di età.
Perché l’emicrania non colpisce il cervello.
La tesi più diffusa è sempre stata quella di ritenere che il mal di testa avesse origine nel sistema nervoso centrale. “A lungo si è creduto che l’origine dell’emicrania fosse da ricondurre al sistema nervoso centrale – spiega il responsabile scientifico dello studio Pierangelo Geppetti –. Questa convinzione è venuta meno con l’introduzione di farmaci come gli anticorpi monoclonali che, pur non intervenendo sul cervello, si sono rivelati molto efficaci nel bloccare il Calcitonin Gene Related Peptide (CGRP) o il suo recettore. La sede del dolore dell’emicrania doveva essere ricercata altrove”.
Come agisce il mal di testa.
In base agli studi condotti dai ricercatori fiorentini il CGRP – catena di amminoacidi vasodilatatori e veicolo di trasmissione del dolore – agisce all’interno delle cellule di Schwann, ovvero di quello strato cellulare che ricopre e protegge le fibre nervose periferiche. Ed è qui che provocano quel dolore battente e prolungato tipico dell’emicrania, per poche ore o alcuni giorni.
Centri Cefalee ed efficacia delle cure.
Nei Centri Cefalee presenti in tutta Italia l’emicrania viene curata con anticorpi monoclonali anti-CGRP. Nonostante gli ottimi risultati assicurati da simili trattamenti, circa il 30% dei pazienti non ottiene i benefici sperati. Pertanto i ricercatori italiani, insieme a colleghi statunitensi e australiani, stanno studiando una nuova “nanomedicina” più potente di quelle utilizzate finora. Questo progetto apre nuove possibilità (e speranze) di cura a tutti quei pazienti che non rispondo alle cure per l’emicrania attualmente disponibili.